domenica 31 luglio 2011

Ritornava dai campi
scuro in volto
e parlava piano
di terre, di semine, di fatiche,
svogliato. 
Batteva pesante
d’istinto
gli antichi scarponi
alla pietra
e odorava di terra. 
Parlava chiaro,
per concetti e per massime
certe,
con la ignara saggezza
del tempo consunto
e talvolta ascoltava
il suono del granaio
con le nocche di legno
e segnava il livello.
E parlava al suo cane
sicuro
gettandogli un osso
e aiutava il vitello
ad uscire
e la cavalla
a figliare
con le mani di sempre
sporche di terra
nel connubio. 
E non era nessuno! 
Neanche un numero
nell’immobile tempo
                   mio padre. 
Eccole le mani del contadino, sporche di terra callose, dure e rovinate, eccole le mani di  quell'uomo che fa della natura la sua base della vita, quella vita che le uniche soddisfazioni che gli da sono poi quello che lui chiede: un bel raccolto, la campagna fiorita piena di colori e frutti, che solo lui con quelle mani callose sa creare ad arte, ed eccole quelle mani stanche alla fine della giornata che a mala pena riescono dopo tanta fatica ad alzare un bicchiere di vino.
Con quanta precisione hai dipinto queste mani Franco e oserei dire con riverenza, come se per te quelle mani fossero un altare un tempio di sagezza; e non hai sbagliato moltoFranco, perchè lo sono.
Anche i colori che hai saputo dare, caldi e nello stesso tempo pastosi a dimostrare la laboriosità di quelle mani, un giorno mi ricordo in una intervista Biagi ( a me piaceva molto ) se ne usci con una frase che mi rimase impressa, perchè si parlava dei macchinari per lavorare la terra oggi, e del progresso , beh, Biagi rispose in modo molto garbato ma secco: "i contadini devono avere le mani sporche di terra" ed è così  Franco come tu le hai dipinte  sono le mani del contadino, felice al tramonto quando torna a casa magari accompagnato dai suoi animali come questi splendidi labrador che ho inserito che sono sempre una tua opera, e felice all'alba quando si incammina verso quelle terre dove quotidianamente cè da fare.
E' vero la tua pittura mi sta facendo viaggiare in un mondo passato, fatto di queste cose, ma se per me sono ricordi Franco, tu hai saputo rappresentare questi ricordi con amore  e passione 
Ciao Franco e grazie

sabato 30 luglio 2011

il viaggio continua

"Che ne sai tu di un campo di grano
poesia di un amore profano
la paura d'esser preso per mano, che ne sai
(l'amore mio) che ne sai di un ragazzo perbene
(è roccia ormai) che mostrava tutte quante le sue pene:
(e sfida il tempo e sfida il vento e tu lo sai)
la mia sincerità per rubare la sua verginità,
(sì tu lo sai) che ne sai......."

E' un inno alla vita quello che riescono a vedere gli occhi del contadino precedente, lo sguardo verso la sua arte, verso quei colori che la natura sotto le sue sapiente mani sa posizionare come nessun altro è capace, due colombi a mirare quel colore oro di quello che sarà poi l'oro per la vita una volta trasformato. Eccola la fatica del contadino, che si è concessa una sosta per un bicchiere di vino...
Che ne sappiamo noi oggi di quanto lavoro e sudore ci sono su quella terra, di quante ferite e disperazioni magari per una giornata di tempo cattivo, quanto amore nel raccogliere a mano le fascine per poi formare i foraggi per le bestie che attendono impazienti il nuovo raccolto.
Che ne sappiamo oggi noi, se non i racconti dei vecchi che spesso bistrattiamo, e trattiamo male solo  perchè ,non siamo in grado di apprezzare più quel lavoro.
Che ne sappiamo noi di quei meravigliosi colori che la natura ci offre ad ogni stagione grazie a quelle mani callose
Eccolo il mondo di Franco, il mondo delle origini mi piace chiamarlo, il mondo dei ricordi che spero torni presto, il mondo della sincerità e della vita basata sul culto del lavoro.
Eccolo il mondo di franco gioioso e immaginato come quello di quel contadino che seduto con un bicchiere di vino ammira tranquillo e soddisfatto, insieme ai due colombi, la sua opera d'arte colorata d'oro, e per lui è oro.
Ciao e grazie uomo di terra

giostre di Elena

Con un tetto e con la sua ombra gira
per breve ora la giostra dei cavalli
multicolori, tutti del paese
che lungamente tarda a tramontare.
Molti sono attaccati alle carrozze,
eppure tutti hanno un cipiglio fiero,
e un feroce leone, tinto in rosso, va con loro,
e a quando a quando un elefante bianco.

Perfino un cervo c'è, come nel bosco,
ma porta sella e, fissa alla sua sella,
una minuscola bambina azzurra.

la spensieratezza dello sguardo della bimba fa pensare ad una vita felice ma penso che l'autrice ci voglia richiamare non tanto alla figura della bimba quanto alla giostra stessa, simbolo di una vita che continuamente ha sali e scendi, una vita che offuscata dai ricordi che continuamente si riempie di "se" se avessi fatto così se avessi avuto........, certo il vestitino Rosa ci da speranza e questa è dettata dalla positività di chi comunque riesce a disegnare anche gli occhi di un cavallo felici lo stesso cavallo che è il simbolo di questa vita ora va su, ora va giu
MI piace la pittura di Elena è sempre una immersione nell'immaginazione e con quel pizzico di ironia che  rallegra ogni suo lavoro
Brava Elena (anche se te lo dice uno che non capisce un ciufolo di arte) eheheh

venerdì 29 luglio 2011

la continuità di Franco

"Ci sono due modi di vivere la tua vita. Una e' pensare che niente e' un miracolo. L'altra e' pensare che ogni cosa e' un miracolo.
-La vita e la morte confluiscono in uno e non c'è né evoluzione né destino, soltanto essere."

 Questo lavoro di Franco è un inno alla vita, di altri tempi forse, per le caratteristiche del posto molto originale, e che ricorda molto quei paesi della Bassa dove si davano battaglia (Guerreschi mi perdoni per il paragone) Don camillo e Peppone, la durezza del contadino abituato a lavorare la terra, quella stessa terra che ama pure se gli costa la schiena, le mani screpolate, il sudore  per lavorarla per la semina; la terra grassa e generosa che se è trattata a modo , e lui, sicuramente l'ha trattata a modo, ti ripaga di tanta fatica, quella terra che ti porta a lasciarti andare al tramonto per un bicchiere di vino magari con gli amici e con lo sguarda rivolto ai mille pensieri che lo avvolgono e magari a qualche sogno per il suo futuro.
Ho scritto come titolo: la continuità di franco, perchè, la continuità, di cosa, be stiamo percorrendo un percorso nel mondo artistico di Franco, abbiamo iniziato con gli scarponi, poi il bosco, vi ricordate? il corso d'acqua  che lo attraversava e alla fine il rifugio, be se ci pensate questo contadino ha alle spalle la fine di quel bosco e sembra stare proprio in quel rifugio per una breve sosta,anche perche sicuramente, lui il giorno dopo, alle 4 di mattina è in piedi con quegli scarponi ,  per tornare alla sua terra che cura con tanto amore per tutti noi che godiamo del suo operato,
Bravo franco non sono un critico D'arte, ma un lettore di sentimenti forse. E' bello averti conosciuto e mi piace  apprezzare quello che stai facendo conoscere te a me.
ciao Franco

giovedì 28 luglio 2011

il bosco di Elena

Ha messo chiome il bosco d'autunno.
Vi dominano buio, sogno e quiete.
Né scoiattoli, né civette o picchi
lo destano dal sogno.
E il sole pei sentieri dell'autunno
entrando dentro quando cala il giorno
si guarda intorno bieco con timore
cercando in esso trappole nascoste.
(B. Pasternak) 
i colori caldi di questa opera, leggermente soffusa ,come se un velo di nebbia avvolgesse il percorso ordinato, mi fa pensare molto ai sogni che spesso non riusciamo a finire, la strada sterrata e in salita è la strada della vita dove il futuro non si conosce, non si vede cosa cè al di la della collina, possiamo solo immaginarlo, come faceva Leopardi davanti la sua siepe,  la speranza di qualche cosa di positivo è data dalla velatura che avvolge la vegetazione e  dal cielo celeste che si intravede.
Penso sia un quadro ricco di speranza e gioia con colori caldi e accattivanti
brava Elena (ps non mi dire che neanche questo ti è venuto come volevi)
questo è proprio da mostra eheh

bosco

Nel bosco ogni vecchio gigante,
sia abete, sia quercia, sia pino,
ha intorno, ai suoi piedi, un giardino
di piccole piante.
Son muschi, son felci, son fiori
e fragole rosse e lichene,
cui l'albero antico vuol bene,
suoi teneri amori.
E mentre le fronde superbe
protende più in su verso i cieli,
ci pensa a quegli umili steli
nell'ombra tra l'erbe.
l'mmagine di questo " torrente " che scorre all'intterno del bosco è molto reale nella mia mente, i colori sono vivi, autunnali e la scelta delle piante è meravigliosa, lasciano aperta la visulale nello spazio, ciò che non avrebbero potuto fare abeti e cipressi. Alla fine del percorso cè un rifugio, non lo scuro del bosco e questo per me è indice di una mentalita protettiva e aperta dell'autore .
E' una bella passeggiata girare per questo quadro ti ossigena il cervello e ti rilassa
Grazie Franco per le immagini che presenti

mercoledì 27 luglio 2011

ALESSANDRA

Ad ognuno di noi riescono meglio le cose che in cui crediamo e riverziamo amore,
Che dire di questo ritratto, sicuramente molto più caldo di una foto con vivo il senzo del movimento con quel ciuffo di capelli davanti la fronte.
Certo il quadro è bello, perchè il soggetto è bello, ma per me che sono ignorante in materia, una tela è sempre bianca è l'artista che toglie il bianco e lascia quello che Dio dice di lasciare e cosi Alessandra prende vita e questa resterà eterna.
Criticamente debbo dire che l'autrice ha tolto la grinta dall'originale ammorbidendo lo sguardo della bambina con un risultato ottimo e molto verosimili a quello che farebbe alessandra stessa in altri momenti.
mi piace il colore che mi ricorda un po i giochi fotografici che facciamo un po tutti quando vogliamo invecchiare una foto e il vestitino sfumato è molto intonato con lo sfondo.

debbo dire che essendo amante delle foto e conoscendo le difficoltà di uno scatto ad un bimbo
 immagino che il ritratto sia molto peggio, perciò non mi resta che complimentarmi con l'autrice, bravissima , e aspettare incuriosito altre sue opere
Ciao Elena

SCARPE GROSSE

" vecchio scarpone quanto tempo è passato...quanti ricordi mi fai rivivere tu....." La pittura di Franco per me è particolare, perchè come gia detto recentemente, mi riporta a vivere cose dimenticate da tempo, ho scelto tra i tant,i per cominciare, gli scarponi, (o le scarpe grosse ) come le chiama l'autore, perchè sono il simbolo del lavoro e del lavoratore, l'usura è pari all'affezione che il proprietario di quelle scarpe sicuramente ha, è difficile sbarazzarsene perchè passo dopo passo hanno un ricordo particolare.
magnifico lo sfondo che intona con il colore delle scarpe e da alle stesse, un senso di grandezza di ovunquità, i lacci logori fanno capire molto bene la fatica di chi occupa questi scarponi-
A me ha colpito in particolare proprio il soggetto, come se l'autore volesse ricordare a lui stesso il lavoro e la fatica che si fa per raggiungere traguardi , e ovunque si vada, qualsiasi traguardo si cerchi, loro sono con noi a testimoniare la fatica e il tempo
Ciao Uomo di Terra (da un amico)

martedì 26 luglio 2011

" L'INNOCENZA"

è un po che grazie ad amici particolari tento di modificare il mio stato, veramente molto grezzo, e a volte acritico verso alcune forme di arte, un po perchè come spiegavo in altri capitoli, non ho bei ricordi scolastici, un po perchè comunque mai avevo incontrfato persone, che conoscendole, riesci a capire cosa vogliono dire almeno in parte con quello che raffigurano, un po come lò psicologo fa con i test di interpretazione.
Ora però voglio approfondire la cosa e allora cerco di fare una speciale mostra virtuale nel mio blog con le opere dei miei amici con quello che vogliono dire o meglio con quello che per me rappresentano e sarannopoi loro stessi a dirmi nei commenti se ancora sono troppo "rozzo" o comunque sono sulla buona strada
Inizio con un opera di Elena che mi è occasionalmente capitata davanti sfogliando la sua home page,
il bimbo che dorme, non mi ha particolarmente colpito il bimbo dormiente di questa opera ma i particolari, ricercati , che loro stessi dipingono l'animo dell'autrice.
Il gatto per esempio guardatelo bene, è coccolato vicino al corpicino del bambino ma non per dormire, ha gli occhi ben aperti, i colori sono di chi vuole essere protettivo, le mongolfiere come sogno, indica la volontà del bambino comunque di viaggiare e conoscere posti diversi, e sembra soddisfatto del proprio sogno come se sapesse che si realizzerà. Bellissima la scelta del colore del pigiama che ricorda il blue del cielo in sintonia con il viaggio e le mongolfiere
Naturalmente questa è la valutazione di un ignorante in materia che cerca di carpire il momento dell'artista più che la figura in se. perciò come disse non ricordo bene chi???? Ai posteri l'ardua sentenza
da: "La Galleria di Massimo"

domenica 24 luglio 2011

una donna meravigliosa

da Amalfi d'inverno
27/11/2010

“Crescendo impari che la felicità non è quella delle grandi cose. Non è quella che si insegue a vent'anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi.”
È uno dei tuoi ultimi post che io avevo inserito nel mio blog perché era una frase che mi colpì molto.
Spesso rincorri questa felicità spesso ne abbiamo parlato e anche discusso.
Oggi mi sono dato un compito particolare, esprimere un giudizio su la mia AMICA Isabella, come quello dato, se hai letto nel mio blog,  per Elena, Carla e Franco; ma più che un giudizio è una forma di ringraziamento mia, oggi nei tuoi confronti, perché anche se continuamente mi ripeti :” io non merito tutto questo” ti ribadisco un concetto mio che probabilmente ti farà capire il perche di quello che sto scrivendo.
“ per me sei come la salute quando non ci sei mi manchi”
Te lo ripeterò all’infinito, sai ho imparato a conoscerti bene e mi accorgo che non esiste o per lo meno che io conosca, una persona capace di ridere e sdrammatizzare ogni situazione come fai tu, si è vero a volte ti incazzi ti animi , piangi, ma chi non lo fa,  ma “il coraggio di vivere” come diceva "lucio" anche lo hai.
Vedi Isa, io ogni momento che ho passato con te, è servito ad accrescermi in tantissime cose, ricordati che sicuramente hai fatto parte della mia rapida guarigione, mi hai fatto conoscere un mondo diverso da quello che conoscevo, forse letteralmente parlando, molto più umanistico, mi hai fatto conoscere persone eccezionali, e te stessa, che  per me sei eccezionale, non mi stancherò mai di ripeterlo, trovo molta difficoltà a trovarti difetti, forse per la mia empatia nei tuoi confronti, sei una ragazza dolcissima una madre attaccata e cosciente e capace, una donna perfetta ecco io così ti vedo e siccome tu mi rinfacci sempre che sei bipolare beh allora non mi resta che chiudere con una persona che penso tu ami parecchio e te la dedico con tutto il cuore insieme ad un grazie di esistere
Ti voglio bene e te ne vorrò sempre
     Dedicata a Isabella                                                 


(Alda Merini)
Ero matta in mezzo ai matti.
I matti erano matti nel profondo, alcuni molto intelligenti.
Sono nate lì le mie più belle amicizie.
I matti son simpatici, non come i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo.
I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita!

Per Isa da Massimo

Carla l'aretina

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
che la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

Tant'è amara che poco è piú morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

E' entrata silenziosamente e timidamente nel mio quotidiano, dimostrando tutta la creatività di chi non si perde mai d'animo e con orgoglio sopporta le disavventure, (a volte anche comiche), che la vita le presenta di volta in volta.

E' una ragazza dolce a cui non puoi non volere bene e pur vivendo in brianza mantiene quell'ironia tipica tocana che la rende sempre molto simpatica.
Praticamente è una donna di cui senti la mancanza se per qualsiasi motivo non riesci a parlarci, il nostro motto:(famo du chiacchiere) in romanesco, ormai è superato da un pezzo perchè de "chiacchiere " ne abbiamo fatte almeno 4.
Mi ricorda molto speedy gonzales, sale sulla sua matiz ed è capace di correre a destra e sinistra per la brianza senza stancarsi ha una vitalità e una carica encomiabile.
Ultimamente ci accomuna la gioia della cucina e continui sono gli scambi di ricette, non ultima la gara di panzanelle (romane e toscane).
Ti sarò sempre vicino Carla e sai come chiamarmi se ne hai bisogno ti voglio bene sei super
Ciao

mercoledì 20 luglio 2011

Un uomo di terra (Franco Padovan)

"Mio Nonno, quando uscivamo in paese, spesso mi portava alla terra dove era piantato il grano, raccoglieva una spiga, la frantumava nelle callose mani, e lasciava volare al vento il biondo seme della terra e mi si raccomandava di non dimenticare mai L'odore di quella terra", ormai sono 40 anni che mio nonno è morto e io accompagnato dal progresso e dall'enfasi di arrivare, poi non si sa bene dove, avevo dimenticato quell'odore.
Ecco quale è il tuo merito Franco mi hai ricordato le mie origini mi hai ricordato il forte odore dei colori di un campo di grano facendomi rivivere con le tue pitture, quei gironi felici che passavo con mio nonno in campagna, ecco Franco, sei e ti considero importante, per me i tuoi colori carichi di gioia, spesso nascondono la melanconia della vita descritta dalle tue immagini, Ecco Franco, quelle mani che hai postato recentemente, callose, e rovinate di chi sente la terra come la propria vita, che purtroppo stiamo dimenticando un po tutti, be quelle mani per me sono le mani di mio nonno, lo stesso che raccontava le storie del Pasubio, Ecco Franco non sei solo un Amico virtuale sei per me il filmato della mia storia ogni tuo tratto di pennello per me è un ricordo da collegare a momenti che ho passato da piccolo, Ecco Franco, Amico mio, mi rende felice scherzare e ascoltarti e e discutere con te  mi rende vivo.
Sicuramente non sei meno importante, perchè  ti conosco solo in modo virtuale, non esiste, e  ringraziaro Isabella  che ha permesso a me di conoscerti, e apprezzarti.
Sei grande e nello stesso tempo profondo come le tue opere che seguirò anche affannosamente per rincorrerle.
Devo comunque ringraziarti anche per un altro motivo,  un po per curiosità un po perchè obligato dai colloquii che facciamo, mi fai crescere culturalmente spingendomi alla ricerca di quello che è il tuo pane quotidiano, L''Arte, ora vedo con una luce diversa, quello che prima per me erano solo colori messi più o meno ordinatamente su una tela, ora riesco in quella tela a leggere l'atmosfera e lo stato d'animo dell'artista che ha posizionato quei colori in modo "piu o meno ordinatamente"
Ciao Amico  a presto e grazie

martedì 19 luglio 2011

silenzio (Elena Tognolini)

E' difficile esprimere un giudizio per chi comunque provi un sentimento anche se solo di amicizia,  ma io, nel mio Blog, ho intenzione di mettere una pagina per amico, cercando di essere il più realista possibile senza farmi prendere dall'empatia cosi da farli conoscere anche tra di loro (se gia non si conoscono).
In particolare due persone sento particolarmente vicine, anche se debbo dire, che quasi tutte le mie amicizie mi ricordano i tempi da giovane dove tutti portavamo il Loden o L'eskimo; ossia abbiamo quasi tutti un live motive comune.
La prima persona, ma non per importanza, ma semplicemente perchè mi è uscita così, è Elena, una carissima amica di Tirano, una artista, (la chiamo la mia spia russa di Tirano), sicuramente mi ha aiutato parecchio dove non arrivavo da solo, grazie a lei  (e a Franco ma lui qui non centra)  sto avvicinandomi in un mondo, che si conoscevo per educazione scolastica, ma sicuramente non riuscivo ad apprezzare perchè visto con poca attenzione e come un rivale per la media voto al liceo, E' una persona sempre disponibile molto sensibile, ama gli animali come me, e non da poco è del sagittario come me .
Tramite lei ho cosciuto l'importanza dei colori, e del bianco e nero, della luce e dei disegni delle ombre, ho imparato che non solo la poesia e le parole di una canzone possono esprimere dei sentimenti particolari, ma anche i quadri che spesso rispecchiano l'umore dell'artista di quel momento sono importanti per trasmettere sentimenti.
Devo dire grazie ad Elena semplicemente perchè, anche se per il momento sono solo un amico virtuale, siamo riusciti ad avere un feeling importante e comunque riusciamo a parlare liberamente di tutto e a divertirci,  passando un po di tempo come se fossimo veramente a contatto.
Devo dire grazie ad Elena che sopporta le mie sconsolate lamentele private, senza mai stancarsi o per lo meno senza mai dirmi che rompo, be tante volte me lo direi da solo.
Spero che tu lo legga Amica Mia e spero di poter venire presto a Tirano a prendermi quel Caffe insieme (anche se come sai io preferirei una.................eheheheh non te lo dico se sei una amica lo sai)
ciao Elena Massimo

sabato 16 luglio 2011

la montagna e me

Un paese di pianura per quanto sia bello, non lo fu mai ai miei occhi. Ho bisogno di torrenti, di rocce, di pini selvatici, di boschi neri, di montagne, di cammini dirupati ardui da salire e da discendere, di precipizi d'intorno che mi infondano molta paura - Jean-Jacques Rosseau


bè queste sono proprio le sensazioni che cerco in montagna, praticamente da quando sono nato amo la confusione silenziosa che esiste in questi posti, sempre diversi sempre imprevedibili sempre in grado di meravigliare i tuoi occhi e il tuo spirito.
Niente per me è più sublime che una scesa tra i pendii attraverso le conifere con la possibilità di incontrare animali che ti stupiscono per la trancquillita e la gioiosità che vivono tra le rocce, magari alla ricerca di un po di erba o dei rimasugli di campeggiatori.
Il tramonto e l'alba sono particolari, e bellissimo vedere il sole sorgere da dietro una cima e colorare man mano le rocce difronte è bello vedere la neve scendere lenta e soffice e attufare ogni tumore della natura il silenzio che si sente in montagna è un silenzio particolare che ti coinvolge e ti ipnotiza. ho un sogno che i miei figli conoscono perfettamente e spero lo realizzino che le mie ceneri vengano sparse sulle dolomiti e allora mi sentirò veramente a casa


Nella foto, io giuliano e gianluca

mercoledì 13 luglio 2011

incontro con l'arte

Sarà da principiante ma questi colori mi appassionano:


Mio cognato Van Gogh
 
     
 
E’ annunciata a settembre, per i tipi di Abscondita, l’uscita di una biografia di Van Gogh. L’ennesima, verrebbe da dire. Se non fosse che, questa volta, ci viene riportata da un narratore d’eccezione: la cognata del pittore, Johanna Gesina Bonger, moglie del fratello di Vincent, Theo; ciò che la rende un documento prezioso, che si connota per la linearità e la semplicità del racconto e per la contemporanea complessità di riflessi e di rimandi emotivi e sentimentali che vi si riversano.
Johanna si accinse a scrivere il resoconto della vita di Vincent e Yheo nel 1913, per il desiderio di lasciare al figlio (Vincent Willem) una storia riferita con le proprie parole, non come quelle degli altri, una storia capace di portare in evidenza soprattutto il profondo legame d’amore reciproco che, a dispetto di tutto, univa i due fratelli.
Ogni informazione riguardante la fanciullezza dei Van Gogh le giunse direttamente dalla madre di questi, Anna, a cui Johanna, peraltro, non mancò mai di riservare rispettosa delicatezza, evitando qualsiasi tono che potesse dispiacerle. Per il resto, la fonte principale, oltre alla personale esperienza, furono le lettere che Vincent e Theo si scambiarono per tutta la vita.
Il risultato è un racconto insolitamente dominato da una grande tenerezza, in cui gli aspetti più drammatici e tesi sono stati smussati dalle tinte sentimentali e riferiti sul filo della discrezione. Se si riscontrano omissioni, e a dire il vero non sono poche, l’unica colpa ascrivibile all’autrice è stata quella di concentrarsi in una biografia che fosse resoconto di una costante ricerca serenità, compendio di momenti tranquilli e di crisi in qualche modo risolte, restituiti con indulgenza e dolcezza.
Ed è dunque comprensibile che l’argomento più doloroso, quello della follia, con le sue infauste implicazioni, venga relegato ai margini di un racconto che si concentra invece sul delicato ritratto di una vicenda di intensi rapporti umani, di cui l’arte rappresenta il culmine. L’intento palese di Johanna è stato quello di assumere la difesa di Vincent, quell’“eccentrico”, che in vita dovette sempre lottare con l’incapacità di comunicare col mondo, e che riuscì a farlo, a modo suo, solo attraverso intense pennellate di colore.
Johanna (come si legge nella biografia, redatta dal figlio, che completa il volume) era nata nel 1862 e aveva sposato Theo Van Gogh, che era amico di suo fratello Andries, nel 1889. Nel 1891, dopo un anno e mezzo di felice vita coniugale, coronata dalla nascita del piccolo Vincent Willem, e solo sei mesi dopo la tragica fine del pittore, Theo morì, e la giovane donna tornò in Olanda con il suo bambino, con alcuni mobili e con moltissimi quadri, a cui allora non si dava particolare valore: tra di essi circa duecento dipinti di Vincent.


lunedì 11 luglio 2011

OMAGGIO AD UN AMICO

« Leone di San Marco, leone del profeta,
ad est di Creta corre il tuo vangelo.
Si staglia contro il cielo il tuo simbolo strano:
la spada e non il libro hai nella mano. »

Per leone di san Marco o leone marciano o leone alato si intende la rappresentazione simbolica dell'evangelista san Marco, raffigurato in forma di leone alato. Altri elementi in varie combinazioni presenti sono: l'aureola sul capo e un libro ed una spada tra le zampe.
Il leone di san Marco è secolare simbolo della città di Venezia, della sua antica Repubblica e attuale simbolo del Comune e della Provincia di Venezia, nonché della Regione Veneto e di numerosi altri enti ed amministrazioni civili e militari. Il leone marciano compare in bandiere, gonfaloni, stemmi, statue e monete. Compare inoltre nella bandiera navale sia mercantile che militare della Repubblica Italiana.

Significato


La simbologia del leone di san Marco deriva da un'antichissima tradizione delle Venezie, secondo la quale un angelo in forma di leone alato, avrebbe rivolto al Santo, naufrago nelle lagune, la frase: «Pax tibi Marce, evangelista meus. Hic requiescet corpus tuum.»[1] (Pace a te, Marco, mio evangelista. Qui riposerà il tuo corpo.) preannunciandogli che in quelle terre avrebbe trovato un giorno riposo e venerazione il suo corpo. Il libro, spesso erroneamente associato al Vangelo, ripropone proprio le parole di benvenuto del leone e, nella maggior parte delle rappresentazioni veneziane, si presenta aperto recando solitamente la scritta latina «PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEVS»
Bisogna ricordare anche che lo stesso san Marco, rappresentato in forma di leone, è tipico dell'iconografia cristiana derivante dalle visioni profetiche contenute nel versetto dell'Apocalisse di san Giovanni 4, 7. Il leone è infatti uno dei quattro esseri viventi descritti nel libro come posto attorno al trono dell'Onnipotente ed intenti a cantarne le lodi, poi scelti come simboli dei quattro evangelisti. In precedenza questi "esseri" erano stati descritti dal profeta Ezechiele nel suo libro contenuto nella Bibbia ebraica. Il leone è associato a Marco in funzione delle parole con le quali inizia il suo Vangelo in riferimento a san Giovanni Battista:

« Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Come è scritto nel profeta Isaia: "ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada.
Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri".  »

Il Battista vestiva nell'immaginario cristiano una pelle di leone e la frase evangelica della voce che grida nel deserto richiamava l'idea di un ruggito nel deserto.
Il leone simboleggia anche la forza della parola dell'Evangelista, le ali l'elevazione spirituale, mentre l'aureola è il tradizionale simbolo cristiano della santità.
Tuttavia il simbolo leonino esprimeva anche il significato araldico di maestà e potenza (tratto quest'ultimo sottolineato soprattutto dalla coda felina alzata), mentre il libro ben esprimeva i concetti di sapienza e di pace e l'aureola conferiva un'immagine di pietà religiosa. La spada, oltre al significato di forza, è invece anche simbolo di giustizia e difatti è ricorrente nelle rappresentazioni, antropomorfe e no, della Giustizia.
Erano dunque simbolicamente presenti tutti i caratteri con cui Venezia ama pensare e descrivere sé stessa: maestà, potenza, saggezza, giustizia, pace, forza militare e pietà religiosa.

Tuttavia tali interpretazioni non sono universalmente accettate in quanto la Serenissima non codificò mai i propri simboli rappresentati in modo assai vario. Rare, ma presenti, sono anche raffigurazioni del leone privo sia del libro, che della spada, che talvolta dell'aureola (soprattutto nella rappresentazione statuaria).
Non rare le raffigurazioni in cui il leone poggia le zampe anteriori su una terra in cui spesso compare anche una città turrita e quelle posteriori sull'acqua: tale particolare rappresentazione intendeva indicare il saldo potere di Venezia sulla terra e sul mare.[4]

Differenti versioni del leone di san Marco

Flag of Republic of Venice.png
Coat of Arms of the Republic of Venice.svg
L'immagine del leone di san Marco può essere rappresentata in due diverse posizioni:
  • andante, ovvero quando è possibile vedere per intero il corpo del leone di profilo, appoggiato su tre zampe mentre l'anteriore destra è poggiata sul libro: tipica raffigurazione presentata nei gonfaloni e nelle grandi statue, dove vi era abbondanza di spazio per riportare la rappresentazione completa;
  • in mo'eca, in moleca o 'in maestà (anche in soldo o in gazzetta dal nome della moneta su cui era raffigurato)[5], in cui invece viene rappresentato il leone frontalmente e accovacciato, assumendo un aspetto che per la forma delle ali appare simile a quello di un granchio (ed in veneziano mołeca è il nome dei piccoli granchi in periodo di muta): una forma più utile da utilizzare negli stemmi e nei sigilli, dando una rappresentazione più raccolta.
  • 'rampante' di profilo e ritto sulle zampe posteriori.[6]
  • 'con berretto frigio' di profilo, senza spada e libro. Con questa iconografia era rappresentato nello stemma del regno d'Italia in età napoleonica.
Il simbolo del Reggimento lagunari "Serenissima" (detto "MAO" acronimo che deriva da "Mostrina Avambraccio Ordinaria", in quanto detto simbolo viene portato sull'avambraccio delle uniformi dei lagunari) è rappresentato da un leone di san Marco in mo'eca nella sua versione popolarmente detta «da guerra» (quindi Vangelo chiuso e spada alzata), a cui fanno da cornice un'ancora e due fucili.

Il leone marciano nei gonfaloni della Repubblica Serenissima


Il leone marciano a protezione del Regno di Candia, in una raffigurazione del 1651.
Il più antico gonfalone e simbolo di Venezia era probabilmente costituito da una croce dorata in campo azzurro (i colori dell'Impero Bizantino, di cui la città faceva formalmente parte).
Con la traslazione in città del corpo dell'evangelista san Marco e la sua adozione a santo patrono della città e dello Stato, si prese a raffigurare il santo in figura umana negli stemmi e nei gonfaloni pubblici.
La prime raffigurazione di san Marco in forma di leone alato sembra fossero adottate nel 1261[7], quando con la caduta dell'Impero Latino Venezia strinse maggiori rapporti con l'Egitto, terra il cui sultano, Baybars, innalzava un leone andante quale stemma, e il porto di Alessandria d'Egitto, città di cui il santo era stato primo vescovo. In quest'epoca la raffigurazione preminente era quella del leone in moleca. A metà del XIV secolo si iniziò poi ad esporre gonfaloni nei quali campeggiava il classico leone marciano andante con libro e spada. Nella stessa epoca tale iconografia venne in generale adottata quale simbolo dello Stato.
Il gonfalone presentava il leone marciano su campo azzurro bordato di croci e decorazioni dorate su fascia rossa. Le sei fiamme rappresentavano i sei sestieri della città (oggi, nell'attuale gonfalone della Regione Veneto compaiono invece una fascia per ciascuna provincia).
Le navi della flotta usavano invece esporre lo stesso gonfalone, ma con campo rosso (come nell'attuale gonfalone della città di Venezia), colore sin dall'epoca romana associato alla forza militare.
Il leone marciano compariva poi inquartato anche nel tricolore dell'effimera Repubblica di San Marco, durante i moti risorgimentali del 1848.
Venne inoltre utilizzato per la bandiera delle Isole Ionie, antico possedimento veneziano, sotto protettorato russo-turco come Repubblica delle Sette Isole Unite (1800-1807 e 1815-1817) e successivamente come protettorato inglese come Stati Uniti delle Isole Ionie (1817-1864). Nella bandiera di questi due stati il leone reggeva una Bibbia chiusa su sette frecce che simboleggiavano le sette isole (Corfù, Cefalonia, Zante, Santa Maura, Itaca, Cerigo e Paxos). Nella bandiera degli Stati Uniti venne aggiunta nel cantone la Union Flag britannica.[8]

Attuale bandiera della città di Venezia

Con decreto del presidente della Repubblica 8 gennaio 1997, che segue quello del 6 novembre 1996 che stabiliva stemma e gonfalone, si stabilisce l'attuale foggia della bandiera e del sigillo della città di Venezia.

« Drappo alto cm 100, lungo cm 200, comprese le strisce di cui infra, di rosso seminato di fiamme d'oro, con la bordatura di rosso, orlata da filetti d'oro, interni ed esterni incrociantisi negli angoli ed ornata da ricami d'oro, caricata da otto quadretti di rosso, posti tre in alto, tre in basso, due nei fianchi, recanti i seguenti emblemi: in alto verso l'asta, l'arcangelo Gabriele, centralmente la sacra Colomba; attigua alle strisce, la beata Vergine annunziata; in basso verso l'asta, il simbolo di San Matteo Evangelista; centralmente la beata Vergine con il divin Figlio; attiguo alle strisce, il simbolo di san Luca evangelista; nei fianchi verso l'asta, il simbolo di san Marco evangelista; attiguo alle strisce, il simbolo di san Giovanni evangelista; tutti i detti simboli e le dette figure al naturale. Il drappo sarà caricato dal leone marciano, passante, sostenuto dal ristretto recante a sinistra la fascia desinente a punta, simboleggiante il mare ondoso, sostenente a destra il monticello cimato dal castello torricellato di tre pezzi, la torre centrale sostenente il vessillo con il drappo sventolante a sinistra; il leone tenente con la zampa anteriore destra il libro aperto recante le parole nella prima facciata, in quattro righe, PAX TIBI MARCE, nella seconda facciata, similmente in quattro righe EVANGELISTA MEUS; il tutto d'oro, con la scritta in lettere maiuscole romane di nero. »

(Decreto del presidente della Repubblica 8 gennaio 1997.)

sabato 9 luglio 2011

RICORDI DI STORIA

Se cè una cosa che sin da piccolo mi ha sempre appassionato è stata la 1° guerra mondiale, mi ricordo che già alle medie mi mangiavo i libri di storia per arrivare al 1914, alla grande guerra e mi pareva sempre striminzito il racconto che faceva il libro.
Io la storia l'ho vissuta con mio nonno e con gli anziani che hanno combattuto quella guerra, per me Francesco Baracca, il Generale Papa, il Pasubio l'adamello sono posti che non si possono dimenticare.
Sono stato fortunato in questo perchè quei posti li ho visitati tutti in diretta, con io nonno e mio zio, ho rispettato il silezio dei caduti negli ossari , ho seguito le trincee che mio nonno mi raccontava esseree coperte di neve di filo spinato di sangue, la disperazione i pianti dei comilitoni, ho vissuto le scene descritte ogni volta che andavo in montagna , in quella montagna e tutt'ora dopo 50 anni mi da sempre le stesse emozioni. La grandezza di quel popolo che hanno dato la vita perchè l'ITALIA  sia L'ITALIA. Ho cercato di tramandare la mia passione ai iei figli e devo dire con successo.
VIVA L'ITALIA

giovedì 7 luglio 2011

il "fattaccio" de Roma

 

io l'ho visto interpretato da Gigi Proietti è spettacolare

è una pezzo di storia di roma

Er fattaccio der Vicolo der Moro

Spesso dietro l’aria bonaria e sorniona di Roma, si celano storie noir, di sangue e coltelli, ma anche di generosità e coraggio. Perché “Dentro a Regina Celi c’è ‘no scalino / Chi nun salisce quello non è romano / Nun è romano e manco trasteverino”.
L’interpretazione di Gigi Proietti è semplicemente emozionante. 

Er fattaccio der Vicolo der Moro
Sor delegato mio nun so’ un bojaccia!
Fateme scioje… v’aricconto tutto…
Quann’ho finito, poi, m’arilegate:
ma adesso, pe’ piacere!… nun me date
st’umiljazione doppo tanto strazio!…
V’aringrazio!!
Quello ch’ha pubblicato er “Messaggero”
sur fattaccio der vicolo der Moro
sor delegato mio… è tutto vero!!
No p’avantamme, voi ce lo sapete,
so’ stato sempre amante der lavoro;
e è giusto, che, pe’ questo, me chiedete,
come la mano mia ch’è sempre avvezza
a maneggià la lima còr martello,
co’ tanto sangue freddo e sicurezza
abbia spaccato er core a mi’ fratello.
Quanno morì mi’ padre ero fanello…
annavo ancora a scola e m’aricordo
che, benché morto lui, ‘nder canestrello
, la pizza, la ricotta, er pizzutello…
nun ce mancava mai! Che, quella santa…
se faceva pe quattro, e lavorava…
e la marinarella, le scarpette
a di’ la verità, nun ce mancava!
Ho capito! Me dite d’annà ar fatto
un momento… che adesso l’aricconto:
Abbitavamo ar vicolo der Moro
io, co’ mi’ madre e mi’ fratello Giggi.
La sera, noi tornamio dar lavoro;
e la trovamio accanto a la loggetta
bona, tranquilla, co’ quer viso bianco,
che cantava, e faceva la carzetta!
E ce baciava in fronte, e sorrideva
e ce baciava ancora e poi cantava:
“Fior de gaggia
io so’ felice sortanto co’ voi due
ar monno nun ce sta che ve somija!”.
E mentre sull’incudine, er martello,
sbatteva tutto allegro, e rimbarzava,
pur’io ndell’officina ripetevo:
“Fiorin fiorello
la vita tutta quanta, manco a dillo,
l’ho da passà co’ mamma e mi’ fratello”.
Poi, Giggi se cambiò!!! se fece amico co’
li più peggio bulli dell’urione
lassò er lavoro…. bazzicò Panico,
poi fu proposto pe’ l’ammonizzione.
De più, me fu avvisato dalla gente,
che quanno io nun c’ero, nú’ fratello
annava a casa pe’ fa er prepotente!!
Per «garaché», … l’amichi… l’osteria…
votava li cassetti der comò
e quer poco che c’era lì in famija
spariva a mano a mano!!! Lei però
nun rifiatava, nun diceva gnente….
ma nun rideva più… più nun cantava
mì madre bella, accanto a la loggetta!
La ruta… li garofoli… l’erbetta
ch’infioraveno tutto er barconcino,
tutto quanto sfioriva, e se seccava
insieme a mamma che se consumava!!
Un giorno je feci: – A ma’, che ve sentite?
voi state male… perché nun me lo dite?
Nu’ rispose: ma fece un gran sospiro,
e l’occhi je s’empirono de pianto!!
Nèr vedella soffrì, pur’io soffrivo!
ma ch’avevo da fà?… chiamai er dottore.
Disse che er male suo era qui: «ner core»…
e che ‘nse fosse presa dispiacere
se ‘n voleva morì!!! La stessa sera
vorsi parlà co’ Giggi, lo trovai, je feci:
- A Gi’, mamma sta male assai …
nun me la fa morì de dispiacere …
je voio troppo bene… e tu lo sai
che si morisse, embè… che t’ho da di’?
sarebbe come er core se spezzasse!…
Mentre lei, guarirebbe si tornasse
er tempo de ‘na vorta!… de quann’eri
bono… lavoratore… t’aricordi?
Giggi me fece ‘na risata in faccia:
arzò le spalle, e poi me disse: – Senti,
senza che me stai a fa’ tanti lamenti
faccio come me pare! E poi de’ resto
si ‘nte va be’, nun me guardà più in faccia!
E me lassò accusì, li sur cantone,
cor core sfranto!! Ritornai da mamma
e la trovai davanti alla Madonna…
che pregava, e piagneva! Poverella…
quanto me fece pena!! In quer momento
per vicoletto scuro e solitario,
‘ntesi Giggi cantà, co ‘n’aria bulla:
“Fiorin d’argento
accoro mamma e nun m’importa tanto
pe l’occhi tua ciò perso er sentimento”.
Allora feci: – A ma’, se mi’ fratello
ritorn’ a casa pe’ fa’ er prepotente
ve giuro che succede ‘no sfracello!
- No… no… fietto mio bello,
Giggi nun è più lui… è ‘na passione…
so’ l’amichi che l’hanno trasportato!!!
Me dette un bacio, la benedizione…
e poi, più bianca assai de’ la cera,
pe nun piagne disse – Bona sera!
ler’ammatina che successe er fatto,
sarà stato… che so… verso le sette …
me parve de senti come ‘na lotta! …
Mamma diceva: – A Gi’…. ‘nte compromette co’ tu fratello …
damme qui er brillocco… è l’urtimo ricordo de tu padre!!
… e nun te scordà … che so’ tu’ madre-
- E che m’importa a me de mi’ fratello?
Si vò assaggià la punta der cortello
venga pure de qua! – Mbè… fu un momento:
sarto dar letto… spalancai la porta…
e me metto de faccia a mi’ fratello,
co’ le braccia incrociate sopra ar petto!
In quer momento me parve de senti ‘na cosa calla …
‘na cosa calla che saliva in faccia.
Poi m’intesi gelà! Fece – Che voi…. -
- Io vojo che te ne vai…
senza che fai più tanto er prepotente
senza che me stai a fa’ tanto er bojaccia!… -
Mi’ madre prevedendo la quistione
se mise in mezzo pe’ portà la pace:
ma Giggi la scanzò co’ no spintone,
e poi me fece: – A voi sor santarello
ve ce vora’ na piccola lezione!
E detto questo, aprì er cortello
e me s’avventò addosso!!!…
Mamma se stava pe’ rimette immezzo
infrattanto che Giggi dà la botta…
io la scanzo… ma… mamma dà ‘no strillo
e casca a longa longa… Detti un urlo de belva e je strillai -
- Ah bojaccia!!!… infamone scellerato’…
m’hai ammazzato mamma!!! e me buttai
come ‘na ‘jena sopra a mi’ fratello:
j’agguantai la mano … e je strappai er cortello…
Poi viddi tutto rosso … e… menai… menai!!!…
Sarà mamma che passa!!
Mamma! Mamma mia!
Mannateme ar Coeli.

martedì 5 luglio 2011

LA PANZANELLA

"La Panzanella"
 Pija e bagna coll'acqua de Stato,
'na fetta de pane rifatto
e quanno che s'è appena ammollato,
lo pòi pure mette ar piatto.

Pija un pommidoro bello maturo
e strofinacelo bene bene sopra.
Er pane diventerà rosso de sicuro,
lascia che er pommidoro lo ricopra.

Mettece l' ojo, 'no spruzzo d'aceto
e poi 'n ber pizzico de sale.
Se te piace, er basilico fresco,
ma se nun ce l'hai, va bene uguale! 

questa è la descrizione della panzanella della mia amica Claudia, mi piaceva scritta in Romanesco e l'ho postata, ora però voglio scrivere cosa metto io nella panzanella, non è molto differente ma alcuni particolarei......
1) io metto la cipolla, rossa, che prima ammollo per almeno 1 ora in acqua e aceto, per poi tagliare finemente,
2) io non strofino i pomodori ma li taglio a pezzettini piccoli che poi unisco con la cipolla il basilico anche esso tagliato a mo di pesto (tagliato e non frullato),
3) poi il pane raffermo o uso il lariano a legna integrale altrimenti le friselle che è pane essiccato apposta, mollato in acqua, sale quanto basta
4) applico i pomodori conditi sulle fette di pane metto origano una spolverata e una alicetta, a me piace, poi una grattata di pepe nero eeeeeeeeeeeeee buon appetito

sabato 2 luglio 2011

io e la cucina

Sin da bambimo, ho sempre avuto un rapporto empatico con la cucina e con l'ambiente, gli odori, i colori, gli attrezzi il forno, il frigo il cammino, è stato un mondo che giorno dopo giorno  crescendo mi ha sempre attratto e meravigliosamente entusiasmato, le prime volte e parlo di quando avevo circa 6 anni, seguivo mia nonna, che devo dire, come tutte le nonne mi ha extraviziato.
Nonna Beatrice, cosi si chiamava,  per come la vedevo io poteva essere lei  la Beatrice della Divina Commedia.
Comunque per tornare al mio rapporto con la cucina , dovete sapere che vengo da una famiglia dove i genitori, per lavor,o uscivano alle 6 di mattina e tornavano alle 21 la sera, mio padre, aveva un attività in carni ben avviata, ma come tutte le attività, se non le segui personalmente, poi finisce male per cui decisero per una condizione familiare del negozio e questo voleva dire  mio padre al banco e mia madre alla cassa, o in giro per uffici.
A casa si mangiava sempre quello che rimaneva al negozio e io in questo modo ho imparato a mangiare di tutto.
La prima volta che mi cimentai in qualche cosa, non è che mi riusci molto bene, ma mi servì per esperienza, quel giorno i miei decisero di venire a pranzo a casa per poi tornare subito al negozio nel pomeriggio e a me venne l'idea di fargli tovare un pranzo caldo , avrò avuto 10 anni circa,  gli ingredienti li avevo tutti e decisi di preparare della pasta al pesto che a i miei piaceva tanto, andai in giardino colsi quello che per me era basilico, corsi su casa e mi misi a tritarlo con aglio e pinoli, grattai il pecorino e comncia con olio a sbattere tutto per ben amalgamare, misi a bollire l'acqua salai e come sentii la macchina di mio padre buttai la pasta felice del risultato: piccolo particolare non erano spaghetti al pesto almeno non al pesto genovese, visto che per errore tagliai le foglie di garofano invece del basilico va be un erorrorino. ma da li cominciai ad applicarmi sempre di più, sino ad arrivare ad oggi, dove mi piace inventare in cucina, e devo dire a detta di chi mangia mi riesce anche molto bene. il mio sogno è raccoglier tutte le mie ricette e metterle in un libro, un po come fece Tognazi be ci pensero ciao a tutti